Del samaritano e dell’uomo a terra non sappiamo il nome, per il Narratore non era determinante identificarli. E nemmeno si dice nulla delle loro caratteristiche morali e di vita: chi è stato picchiato sarà stato un brav’uomo o un mercante senza scrupoli? Chi si ferma a soccorrere lo avrà fatto perché abituato a fare il bene o perché ha sentito di dover ripagare un debito personale attraverso un singolo gesto di misericordia? E ancora, quale moto dell’animo avrà avuto il ferito quando si è accorto che chi lo stava salvando era qualcuno che apparteneva ad altre genti, ad altra terra? Più che essere salvati tout court, capita che si vorrebbe scegliere anche come
e da chi, modalità e approccio. A volte non si è sorretti da chi ci si aspetta. E, per converso, a volte si salva chi, secondo i nostri personali parametri umani, non se lo meriterebbe. Ma è proprio questo uno degli insegnamenti grandi della parabola: non importa chi sei o cosa hai fatto, conta che ora tu sia lì, in quella circostanza, e devi decidere cosa fare, come comportarti in quel singolo momento. Uno tende la mano, l’altro la afferra. Un gesto che cambia due vite e di cui non sappiamo il prosieguo. Cosa sarà successo dopo? Il ferito, ristabilitosi, avrà cercato di rintracciare il suo salvatore? Si sarà dedicato a ricambiare il bene che era stato fatto a lui? E il samaritano?
L’evangelista tace, chiude il sipario e ci consegna la possibilità di proseguire la storia: va’ e anche tu fa lo stesso. (E.V.)