“La medicina è sempre stata umana. Ora serve riumanizzarla”. Così Maria Grazia Marciani, direttrice dell’unità di Neurologia del Policlinico “Tor Vergata” di Roma, ieri a margine della sessione intitolata “Alla sera della vita. Riflessioni pastorali sulla fase terminale della vita terrena”, nell’ambito del convegno Cei di Caserta. “Il progresso – continua – rischia di creare un gap fra il personale sanitario e il paziente. Dobbiamo invece riappropriarci del valore della relazione che non significa perdere tempo perché l’empatia si può stabilire anche solo con un gesto. Tutti noi abbiamo l’atteggiamento pro-sociale da cui deriva l’empatia ma alcune volte non è facile viverla perché l’organizzazione sanitaria spesso non facilita il rapporto”. Oggi “siamo passati dal paternalismo in cui il medico stabiliva la cura e l’autodeterminazione del paziente. L’unico modo per continuare a dare la libertà al paziente secondo me è coltivare la relazione”. Riguardo alla richiesta di eutanasia da alcuni malati terminali, la direttrice aggiunge: “Bisogna vedere quanto in fondo queste persone siano sole, cioè come vivano la situazione. Probabilmente non conoscono alternative e non sono capaci di dare un senso alla vita umana. Anche se dare senso non significa non soffrire”.
Una delle sessioni all’interno del convegno Cei di Caserta è stata dedicata ieri al progetto “Accolti.it”, nato lo scorso anno come forma di collaborazione fra le strutture cattoliche di riabilitazione soprattutto in ambito mentale. “L’obiettivo è far conoscere fra di loro queste realtà e offrire un luogo di incontro di conoscenza e se possibile di collaborazione”, ha spiegato don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale di Pastorale della salute della Cei. Il progetto vedrà uno sviluppo perché l’obiettivo è trasformare la collaborazione in rete. “Da questo convegno – ha detto Angelelli – parte la proposta di ‘Accolti.it II’ previsto per il prossimo ottobre”. “Anche le realtà riabilitative cattoliche in Italia a volte, pur insistendo in un territorio vicino, non si conoscono. Avere quindi un terreno comune di conoscenza e progettualità è fondamentale. Il verbo che abbiamo consegnato è convergere per fare le cose insieme mantenendo la propria identità”. Nell’ambito della sessione Accolti.it è stato inoltre presentato un eventuale percorso di valutazione “per rendere evidenti – ha spiegato Roberto Franchini,docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – gli esiti qualitativi delle organizzazioni partecipanti, secondo un modello completo, non limitato a risultati clinici e funzionali, ma aperto ad aspetti come l’inclusione, l’integrazione, la spiritualità che valutano la pienezza esistenziale della persona”.
“In un tempo in cui la cultura dominante non rispetta la vita, il Forum sociosanitario si impone come attore con la finalità di promuovere la cultura della vita”. Così Aldo Bova, chirurgo ortopedico e presidente del Forum sociosanitario, ieri a margine della sessione dal titolo “Per una medicina solidale ed efficace”, al convegno Cei della pastorale della salute a Caserta. “Noi medici e operatori sanitari – ha aggiunto – dobbiamo portare avanti la cultura della umanizzazione della medicina perché l’altro è una persona con la sua storia e la sua cultura che va ascoltato e guidato nel processo di terapia”. In Italia “la sanità è diseguale”, secondo Bova: “I più poveri vivono meno dei più ricchi. Uno studio dell’Istituto Pascale di Napoli ha dimostrato che i più poveri rispondono peggio alle terapie. Abbiamo il dovere di porci la questione. Occorre che il sistema sanitario nazionale vada incontro alle persone in difficoltà”.
“Dove le scienze umane si fermano, si apre uno squarcio in più dato dalla dimensione teologica della speranza che solo la fede può dare”. Lo ha detto ieri Gianni Cervellera, teologo e presidente dell’Associazione italiana pastorale sanitaria (Aipas), a margine della sessione dal titolo “Il mistero del dolore e la teologia pastorale”, nell’ambito del convegno Cei della pastorale della salute a Caserta. Durante la sessione, “è stato suggerito – ha aggiunto Cervellera – il valore di riferimento ritrovato in una frase nella Lettera agli ebrei: ‘imparò l’obbedienza dalle cose che patì’. Abbiamo riscoperto che il termine ‘obbedienza’ ha come etimologia ‘lo stare in ascolto’, oggi, soprattutto, in medicina, divenuta una formula quasi di rito. Ma davanti alla sofferenza, come quella di un bambino, dobbiamo provare ad ascoltare anche se la tentazione è di sollevare la persona dalla sofferenza quasi avessimo una bacchetta magica”. “All’ascolto va dato il suo tempo perché non è detto che ci siano tutti gli strumenti per affrontare la situazione. E pur avendoli dobbiamo trovare il modo per aiutare l’altro che sta soffrendo. Similmente – ha concluso – nella pratica clinica il medico prima di diagnosticare una malattia e dare una terapia deve conoscere il malato e ascoltarlo”.
(fonte Agenzia SIR)