(da Assisi) Nella nostra società la malattia viene percepita come un errore di sistema: “Quando si manifesta una malattia scopriamo la fragilità del nostro corpo, ma anche la fragilità della nostra mente, nel nostro ecosistema, della nostra morale. È un evento imprevisto: un errore di sistema. Entra nella mia vita un fattore non programmato, un bug che limita la mia piena capacità relazionale, a volte in maniera temporanea o, peggio, permanente. A volte è progressiva”: è l’analisi che fa del rapporto tra giovani e sofferenza don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della Salute che ha aperto oggi il convegno “#Giovani, #Fede, Malattia” dell’Aipas. Secondo il sacerdote, “la malattia sconvolge e interroga e ci impone una nuova percezione di noi stessi nonché delle modalità relazionali. La sofferenza non si può spiegare, in quanto per capire la mia malattia tu dovresti essere me stesso, ma la malattia può essere raccontata, condivisa”. Il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute ha puntato il riflettore a questo punto su “una nuova tendenza che, basata sui social media, ha visto nascere un nuovo modo di vivere la malattia: raccontarla sul web. La condivisione, il racconto della propria esperienza attraverso i social media ha un effetto dopaminico, direbbe Simon Sinek, cioè ci aiuta a sopportare il dolore. D’altronde, l’amico/a del cuore a cui confidare i propri segreti è sempre esistito. Se questi amici diventano centinaia o migliaia siamo più sostenuti, oltre ad avere la possibilità di incontrare nuovi soggetti che hanno avuto esperienze simili”, ha detto, riprendendo il caso di Caterina Falciola, la blogger che ha raccontato sui social e sul suo sito lifelovelife.com la battaglia contro il cancro, persa ad agosto del 2017.
Questa nuova dimensione del vissuto del malato ha dato luogo ad un settore di ricerca estremamente interessante chiamato “Medicina narrativa”, ma la malattia mette in crisi la rete relazionale. “Il grande bisogno di relazionalità dei giovani – ha osservato don Angelelli – passa attraverso la connessione internet. L’essere connessi è una necessità del giovane e la malattia crea limiti a queste connessioni, anzi, un po’ arditamente, possiamo considerare la malattia come diversi livelli di disconnessione, perché impone di prendere coscienza della propria fragilità, interrompe la rete relazionale, impone un nuovo modo di percepire il corpo, indebolisce oralità e gestualità e con esse la stessa capacità di esprimere la propria identità relazionale, porta a non esprimere più la propria capacità cognitiva e infine disconnette dalla vita”. Disconnessioni che non hanno solo conseguenze negative, perchè conducono il giovane a sperimentare nuove modalità di relazioni e di esistenza, come ha testimoniato Caterina Falciola nel suo blog.